27-MAG-2007 CORRIERE DELLA SERA Il futuro di Poste Italiane e le incertezze dello Stato azionista
Se ne parla poco, ma la liberalizzazione dei servizi postali é un chiaro esempio di come l'apertura dei mercati da parte dell'Unione europea obbedisca alla politica di potenza dei suoi membri piu’ che all'asettica applicazione della dottrina liberista. A volere il rispetto del 1° gennaio 2009 come data d'avvio di questa liberalizzazione ê la Germania, che, invece, frena nell'energia e nelle telecomunicazioni. Combinazione, il governo tedesco ha avuto la lungimiranza di fare di Deutsche Post un'autentica multinazionale in grado di conquistare i mercati. Per un'altra combinazione, Francia, Spagna e Italia, in questo settore meno avanzate, vorrebbero un rinvio per recuperare gli svantaggi competitivi. II fatto e’ che, con i suoi 150 mila dipendenti. Poste Italiane resta il maggior datore di lavoro della penisola. Nel 2006 ha fatturato quasi 16 miliardi, con un risultato operativo che sfiora gli 1,5 miliardi e un utile netto di 675 milioni, nonostante il peso delle imposte, pari al 54% del risultato lordo per effetto dell'Irap, ma anche grazie a 191 milioni di proventi non ricorrenti. Poste guadagna con i servizi finanziari e assicurativi, non con quelli postali di base. La liberalizzazione costringera’ lo Stato azionista a chiarire la struttura del business. Non saranno infatti piu’ possibili i travasi di risorse da un'attivita’ all'altra, mentre la concorrenza aggredira’ i segmenti ricchi del servizio postale, lasciando a Poste I'onere del servizio universale. Gia’ oggi questo servizio costa 651 milioni e genera ricavi per 370. Lo Stato potrebbe metterlo all'asta, ma ê dubbio che trovi chi se lo prenda senza congrui sussidi che rischierebbero di aumentare l'esborso dell'Erario. Piu’ pratico sarebbe ridefinire il servizio universale sia nel perimetro (le comunicazioni cartacee delle banche e delle utilities ai clienti meritano ancora di essere a tariffa?) che nella copertura (non si possono chiudere gli sportelli marginali delegandone ad altri le funzioni?). In fondo, nell'era di Internet, il diritto di cittadinanza puo’ essere salvaguardato in modi diversi dal Novecento. E il servizio, se non si vuol gravare sulla fiscalita’ generale, potrebbe essere finanziato attraverso prelievi sui business postali piu’ redditizi. Tanto Basta per capire che con lettere e francobolli Poste non fara’ i soldi tanto in fretta. A Poste serve il Banco Posta. Del resto, anche Deutsche Post ha Post Bank e cosi La Poste francese. Ma per ottenere la licenza bancaria, Poste dovra’ conferire i servizi finanziari a una societa’ che possa essere vigilata dalla Banca d'Italia e, al tempo stesso, possa espandere la propria attivita’ senza remore, con la benefica conseguenza di elevare il tasso di concorrenza nel settore bancario, dove resta da capire quali siano gli effetti delle concentrazioni per la clientela. Per procedere bisogna aggiornare la legge, e dunque si deve muovere lo Stato azionista. Alternativa possibile e’ la privatizzazione del Banco Posta. Ma questa idea non e’ mai stata accompagnata, finora, da un'analisi dei costi e dei benefici per lo Stato e per Poste Italiane che, in fin dei conti, e proprietaria dei 14 mila sportelli dove opera anche il Banco Posta: una rete che, secondo esperti di marketing come Giampaolo Fabris, rappresenta la merce rara, il contenitore che vale piu’ dei contenuti, perche’ costituisce la piattaforma per il lancio di una pluralita’ di prodotti e servizi come per esempio; la telefonia mobile, di cui Poste é operatore virtuale d'intesa con Vodafone. Oggi, in base ai multipli tedeschi, Poste vale 10 miliardi. Ma le incertezze regolatorie hanno il duplice effetto di rallentare lo sviluppo dell'impresa e rendere non realizzabile il suo valore.
mmucchetti@corriere.it (con Ia consulenza tecnica di Miraquota)
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