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Cassazione

lunedì 30 luglio 2007

 

CASSAZIONE

MOBBING NON E' REATO, POSSIBILE SOLO RISARCIMENTO

Il mobbing non e' un reato previsto dal nostro codice penale e dunque, chi malauguratamente incappa in vessazioni e mortificazioni sul luogo di lavoro, puo' soltanto intraprendere una causa civile e chiedere il risarcimento del danno. E' quanto spiega la Cassazione (quinta sezione penale, sentenza n.33624) confermando la decisione del gup di Santa Maria Capua Vetere che aveva pronunciato il non luogo a procedere nei confronti di un preside, accusato da una docente di "lesioni personali volontarie gravi in ragione dell'indebolimento permanente dell'organo della funzione psichica", in sostanza un comportamento riconducibile, come sostenuto dalle parti, alla condotta di mobbing. Il giudice, pero', aveva ritenuto "insostenibile" la tesi, espressa dall'accusa e dal consulente tecnico, rilevando che non era possibile individuare un atto a cui fossero riconducibili le cause della malattia. Contro tale sentenza, il pm e la parte offesa si erano rivolti alla Suprema Corte, la quale pero' ha rigettato i ricorsi: "con la nozione di mobbing - osservano i giudici di 'Palazzaccio' - si individua la fattispecie relativa ad una condotta che si protragga nel tempo con le caratteristiche della persecuzione, finalizzata all'emerginazione del lavoratore, onde considerare una vera e propria condotta persecutoria posta in essere dal preposto sul luogo di lavoro". Difficile, pero', inquadrare la fattispecie "in una precisa figura incriminatrice, mancando in seno al codice penale questa tipicizzazione": la figura di reato piu' vicina ai connotati caratterizzanti il mobbing, si spiega nella sentenza, "e' quella descritta dall'articolo 572 c.p. (maltrattamenti, ndr), commessa da persona dotata di autorita' per l'esercizio di una professione". Nel caso di specie, gli 'ermellini' hanno dunque ritenuto corretta ed esaustiva la motivazione addotta dal gup: nella contestazione formulata dalla pubblica accusa verso il preside "non e' dato vedere - sottolineano gli alti giudici - quale azione possa ritenersi illecita e causativa della malattia" della docente. "Non risulta pertanto illogica - conclude la Cassazione - l'osservazione del giudice che lamenta la mancata individuazione degli atti lesivi, ciascuno dei quali difficilmente in grado di rapportarsi alla patologia evidenziata". (AGI) - Roma, 29 ago. -

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