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INDIGNAZIONE - giovedì 28 agosto 2008

INDIGNAZIONE
 

Vecchia, sana indignazione. Sbuca quando meno te la aspetti, mentre passeggi per le vie del centro di Termoli e ti capita di vedere dei vigili urbani che prendono per il collo un ambulante straniero e lo trascinano piangente verso il bagagliaio della volante. E dunque scatti una foto col telefonino e denunci la vicenda ai giornali.
Quell'indignazione che ti prende in spiaggia a Jesolo quando un cosiddetto "vu cumprà" si getta in mare per sfuggire alla polizia municipale e gridi agli agenti di lasciarlo in pace. Qualcuno si fa persino arrestare, come il militante antirazzista Pasquale Pedace, finito in galera a Siracusa per aver osato difendere una decina di migranti dalle maniere rudi della polizia.
Non fa notizia il gruppo di mamme che portava latte caldo e biscotti ai rom di Ponticelli, prima che questi venissero cacciati dalle fiamme incivili; non fa nemmeno notizia la barista di Ponte Mammolo (Roma) che lo scorso inverno ospitò nella pagoda del proprio bar un gruppo di rom sgomberati e senza casa. Diceva: «Li conosco da sempre, sono brave persone».
Con la moltiplicazione degli episodi razzisti, viene alla luce una parte dell'Italia che raramente viene raccontata, poiché l'opinione pubblica viene intontita a suon di proclami intolleranti e analisi catastrofiche sulla situazione socio-economica. De Rita parla di mucillaggine, Scalfari di specchio rotto, un ammasso di coriandoli impazziti senza forma né volontà di bene comune. Gli amministratori sfornano ordinanze e leggi che criminalizzano in primo luogo gli indesiderabili, gli stranieri poveri, mendicanti, lavavetri, ambulanti. Un delirio di ordine che colpisce il diverso, razzismo istituzionale. Sono i divieti contro i borsoni, contro il bivacco, contro chi dorme sulle panchine. E poi esiste il razzismo diffuso, razzismo complice di quelle ordinanze, di quelle leggi, che si compiace quando il lavavetri viene sbattuto fuori dai confini della città. Il razzismo dei ragazzotti genovesi che picchiano un angolano perché «negro» e «puzza», il fascismo a-ideologico dei cinque di Verona che uccidono un coetaneo perché diverso, di sinistra, fuori luogo nelle vie luccicanti delle boutique.
Il rovescio della medaglia è quella anziana che urla "vergognatevi!" ai poliziotti che sul lungomare di Rimini malmenano un ambulante di colore, è quell'ottantenne milanese che salva due bambini albanesi dalle fiamme.
Non si tratta di buonismo, ma di buonsenso. E non si tratta di due Italie ma di una sola, poiché non sappiamo se quei passanti indignati di Termoli siano elettori di Forza Italia o Rifondazione. Ed è probabile che quei bagnanti di Rimini avessero appena finito di leggere il giornale, soddisfatti per la morsa repressiva perseguita dal governo. Salvo poi provare della pena nei confronti del malcapitato ambulante, magari conosciuto nei giorni precedenti o visto camminare placidamente tra gli ombrelloni.
Il guaio dell'indignazione di Termoli e Rimini è che, forse, rimane confinata al singolo episodio. Diventando così la diramazione del familismo all'italiana, quell'atteggiamento che porta magari a detestare gli immigrati tout court , tranne il vicino di casa tunisino, quello col lavoro in fabbrica e quei bambini così teneri. L'esaltazione del particulare , del mondo sotto casa, delle relazioni strette. La barista di Ponte Mammolo non dava aiuto ai rom in generale, ma a quei rom, che lei conosceva bene in quanto aveva mandato a scuola i propri figli insieme con i loro figli. Forse anche lei, ma non possiamo affermarlo con sicurezza, trova che gli "zingari" siano delinquenti, sporchi e ladri di bambini.
Eppure la solidarietà e l'indignazione non riescono a fare presa nel discorso pubblico. Lo sdoganamento del discorso razzista è avvenuto lentamente, per piccole scosse, alimentato da un generale allentamento dell'etica pubblica. «Da noi il razzismo è innominabile perché è diventato cultura prevalente» commenta con pessimismo il sociologo Alessandro Dal Lago: «Magari non maggioritaria statisticamente, ma l'unica che ha diritto di parola».
Il discorso antirazzista è lasciato dunque all'iniziativa individuale, al buon cuore di coloro che passano per caso in una piazza o prendono il sole al mare. In prevalenza persone dotate di umanità, capaci di distinguere tra un normale controllo di polizia e una inutile bestialità, convinti nel profondo che non esiste una etnia padana gonfia di medaglie d'oro alle Olimpiadi, ma impossibilitati a trasformare questo buonsenso civico ed umano in qualcosa di pubblico e politico.


Antonio '92


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