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Diga di Occhito, per l'alga rossa «non c'è tempo da perdere»

venerdì 27 febbraio 2009



Diga di Occhito, per l'alga rossa «non c'è tempo da perdere»
 di MASSIMO LEVANTACI


FOGGIA - «Il problema delle tossine algali è quanto di più grave si possa immaginare». Lo dice da studioso Pasquale Trotta, responsabile dei ricercatori del Cnr di Lesina. Nessuna intenzione però di voler sollevare un gigantesco polverone data la materia alquanto esplosiva (a Cerignola nei giorni scorsi sono montati i primi casi di psicosi). «Tutt’altro, l’assessore alla Sanità, Fiore, dice che il problema è sotto controllo». Però al Cnr sono allarmati, dicono che bisogna «fare presto», la Planktothrix rubescens la terribile alga che alloggia nella diga di Occhito, «non fa sconti ». 

L’assessore parla di situazione delicata e in costante monitoraggio. Però i livelli di tossicità sono ben lontani dalla soglia di guardia. Perchè voi del Cnr siete così preoccupati? «L'alga produce tossine che hanno interessi diretti sull'uomo. Però il discorso va visto in altri termini: non è detto che la microalga presente nell’invaso di Occhito sia così aggressiva per la salute umana, la sua virulenza va verificata di volta in volta e quel che più conta non bisogna mai sottovalutarla. Quel che mi risulta è che i riscontri eseguiti finora hanno dato esito negativo, i livelli di tossicità sono di piccola entità in modo da non costituire fattore di rischio. Ma bisognerà effettuare campionamenti continui per evitare che i ceppi che si sono formati possano diventare dannosi». 

Da quanto lei afferma par di capire che la diga di Occhito non si libererà facilmente di quest’alga. Anzi dovrà imparare a conviverci. E noi pure. «Siamo in presenza di un processo di invecchiamento irreversibile dell’invaso, dovuto in larga parte alla mano dell’uomo. Non è un'alga legata al territorio, per quanto si sviluppi più facilmente in ambienti particolarmente freddi. In Occhito si è alimentata con i sali nutritivi che in questi anni si sono depositati nell’invaso, quali azoto, fosforo, oligoelementi. Anno dopo anno tutta la quantità di fertilizzanti che le colture intorno alla diga non hanno assorbito, sono finite nell'invaso. Un lago non sottoposto a questo genere di stress impiegherebbe secoli per ridursi così». 

Adesso si pone il problema del cosa fare. Al tavolo tecnico convocato dall’assessore Pecorella si è fatto cenno all’impiego di biosensori nell’invaso. A cosa servono? «I biosensori permettono di segnalare allo stato primordiale la presenza di un'alga tossica. Il rimedio però consiste nell'eliminare tutte le fonti di inquinamento: bisogna cioè procedere a una radicale opera di depurazione delle acque oppure al dirottamento delle stesse in mare. Quest’ultima è ovviamente u n’ipotesi improponibile, è come se si infilasse la polvere sotto il tappeto scaricando in mare quel pericolo tossico. In ogni caso i tempi di attuazione sono di alcuni anni». 

Lei ha suggerito un’azione concertata fra Puglia, Campania e Molise altrimenti non avrebbe senso. «Non basta investire di responsabilità una sola regione. Ma occorre allargare il discorso anche all’Unione europea. Se opportunamente interpellata dai governi locali, l’Ue può fornire soluzioni in termini di indagini, ricerca e capitoli di spesa ad essa dedicati. Il problema delle tossine algali è quanto di più grave si possa immaginare. Ma in Italia lo ignoriamo, abbiamo più acqua salata che dolce. In Svizzera e in Germania hanno imparato a muoversi con rapidità per non interdire l'uso di queste acque. In quei paesi da decenni si è intervenuti riducendo o in qualche caso deviando l'apporto degli emissari nei laghi. Altrettanto dovremmo fare noi».

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